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Marketing e dintorni: qualche punto fermo

Lavorando nel marketing ogni giorno mi sveglio con una sola certezza: di strada da fare ne ho ancora davvero tanta. 

L’argomento è sconfinato e ogni giorno scopro qualche nuova sfumatura o prospettiva da cui guardare le cose. 

Se da una parte tutto questo è fantastico, e anche il principale motivo per cui ho scelto questa strada, dall’altra a volte mi capita di trovarmi un po’ spaesato. 

Performance, branding, growth, SEO, PR, content marketing, automation e chi più ne ha più ne metta. Ho avuto la fortuna di toccare un po’ tutto in modo più o meno approfondito nel corso degli anni e delle esperienze. 

Ti dico in tutta onestà che spesso i confini e le sfumature tra le diverse verticalità non sono proprio così nette. E la difficoltà non è solo mia. 

Le aziende stesse fanno fatica a capire in base alle proprie esigenze quali profili professionali cercare e lo si vede dagli annunci pastrocchio che pubblicano (manca solo che uno dei requisiti sia di farsi recruiting da soli). 

Vale anche per chi si approccia a questo mondo. Io ho cominciato con Facebook Ads ma di modi per partire ce ne sono tanti e le strade da prendere sono pressoché infinite. 

Un argomento così vasto è difficile da padroneggiare. Da solo avrei avuto qualche difficoltà a farlo. Ecco perché ho cercato qualcuno che ne sapesse più di me per riuscire a fare chiarezza, sia per me stesso, che per te che mi stai leggendo. 

Quel qualcuno l’ho trovato in Francesco Agostinis, Managing Partner e Co-Founder di Loop, una delle agenzie di performance migliori nel panorama italiano. Se sei qui probabilmente già lo conosci perché ha costruito negli anni un personal brand molto forte.

Se invece non lo conosci (weird) ti lascio qui il suo profilo LinkedIn. Pubblica contenuti davvero utili sia per chi comincia che per i più esperti. 

Doveroso shoutout a parte, Francesco mi ha dedicato una buona mezz’ora del suo tempo per un’intervista che punta a fare chiarezza dando una sua visione sul fantastico mondo chiamato marketing e sulle sue diverse sfaccettature. 

L’articolo di oggi è una sintesi di questa chiacchierata in cui cercherò di inserire anche quella che è la mia personale opinione sugli argomenti trattati. 

Pronto? Let’s gooooo!

Marketing e aree di influenza

Molti credono che il marketing abbracci e coinvolga anche funzioni o aspetti che a primo impatto non sono direttamente collegati (es. prodotto). Quanto c’è di vero? 

“La risposta è che dipende dal tipo di business. Se parliamo di startup o scaleup allora il marketing può avere un impatto importante anche su altre aree, esempio principe il prodotto. 

Aziende con una struttura snella e processi agili hanno più facilità e propensione al cambiamento e quindi il marketing può guidare in base ai dati lo sviluppo del prodotto nella migliore direzione in base a cosa legge dai dati di mercato e dagli andamenti. 

Se l’azienda ha uno storico importante e una cultura pregressa consolidata il gioco si fa più difficile.Quello che viene chiamato Product Led Marketing può essere secondo me applicato ma solo fino a una certa dimensione.”

Esperienze in questo senso che puoi condividere?

“Ti faccio un esempio pratico che coinvolge la logistica. Anni fa seguivo le campagne di un brand di pentole e vedendo che due prodotti venivano venduti assieme avevo proposto di strutturare un bundle. 

L’azienda ha rifiutato perché i prodotti venivano stoccati in due magazzini differenti e la resistenza nel ristrutturare questo aspetto era troppa. Hanno perso un’opportunità.”

Vedi quindi solo limiti legati alla dimensione dell’azienda nell’influenza che il Marketing può avere su altre funzioni? 

“No, ci sono anche dei limiti legati a dei costi sommersi che in pochi considerano. Apportare dei cambiamenti in azienda, soprattutto se legati a innovazioni di strumenti o metodologie, non ha impatti solo economici ma anche sull’operatività e le tempistiche. 

Per esempio, l’up-skilling o il re-skilling dei dipendenti richiede tempo, effort e per l’azienda è un costo e non è detto che sia un costo che vale la pena pagare rispetto ai ritorni attesi. 

Dipende caso per caso e va valutato.”

In buona sostanza, e concordo con Francesco, il marketing ha sicuramente la possibilità di dare il proprio contributo ad altre aree e funzioni ma all’atto pratico la sua influenza reale è spesso mediata per forza di cose dal contesto. 

Come in tutto, dovrebbe essere la valutazione nel merito del singolo caso a guidare le scelte.

Un ambito, molte professionalità differenti

Dentro al perimetro più strettamente legato al Marketing ci sono diverse professionalità e ogni tot ne spunta una nuova. Quali sono secondo te le macro aree che davvero presentano delle differenze importanti da rimarcare?

“Ci sono solo due macro categorie davvero sensate in cui dividere il Marketing: performance e branding. Dentro a queste si vanno poi a strutturare diversi verticali. 

Prendendo per esempio la parte performance ci sono varie professionalità che si specializzano a seconda dei canali. Facebook Ads, Google, SEO, Email Marketing etc. 

Ma le grandi aree a mio parere sono solo due e dovrebbero sempre più spesso parlare, capirsi, coesistere. Si parla a volte di performance branding, che altro non è la promozione attraverso canali performance di messaggi di comunicazione staccati dal prodotto. In Loop lo facciamo sempre più spesso, ma è obiettivamente complesso far quadrare numeri, conti e strategie se non si hanno le idee chiare.”

Escludi quindi anche categorizzazioni spesso utilizzate come il Growth Marketing?

“Sì nel senso che il growth a livello operativo non esiste come tale. Mi spiego: se prendiamo i livelli manageriali, le figure di growth a mio avviso possono avere senso. 

I Growth Manager raccolgono dati dagli altri professionisti verticali e li orchestrano per arrivare all’obiettivo che è la crescita. 

A livello dell’operativo secondo me però tutto questo perde di senso perché il risultato sarebbe avere una figura professionale che fa per esempio email marketing, automation di pop-up, un po’ di advertising e molto altro senza una verticalità o competenza specifica.

Chi fa solo Growth (qualsiasi cosa questo significhi) non può quindi arrivare al livello di prestazione che figure verticali in quei ruoli hanno e non sarebbe nemmeno paragonabile a un Digital Strategist perché ha un focus molto improntato allo short term quando lo Strategist deve necessariamente avere una visione di lungo periodo. 

Discorso analogo per il settore PR che per esempio in US è sempre più legato a contenuti e modalità di affiliation più che editoriali (com’è anche giusto che sia). Qui infatti si è capito che anche azioni di comunicazione come le PR possono diventare utili alla performance e quindi chi si occupa di far crescere i business le usa sempre più spesso.

Insomma, tutto è growth, ma nulla è solo growth. Il growth non è altro che un modo di agire, ma senza conoscenza delle singole aree si fatica a fare le cose per bene ma si finisce a chiacchierare del bello e dell’impossibile.”

Okay quindi per riassumere, nella tua visione ci sono figure che prendono un significato solo a un livello di regia e che a livello operativo non hanno un vero e proprio posto corretto? 

“Sì corretto, ci tengo però a precisare una cosa. Questo non significa che un buon marketer non dovrebbe conoscere anche altre verticalità, anzi. 

Per fare questo lavoro e farlo bene è essenziale avere sicuramente una propria verticalità ma serve avere anche le basi delle altre in modo da avere il polso e la consapevolezza di attivare gli altri professionisti quando e se necessario. 

Le figure esclusivamente verticali tendono a perdersi in un bicchier d’acqua senza riuscire a vedere il quadro generale. Competenze t-shaped saranno sempre più importanti man mano che cresce il settore.”

(A tal proposito, se vuoi approfondire il tema di come sta evolvendo il ruolo da advertiser e come adattarsi ti lascio un bell’articolo di qualche tempo fa di Simone Razza)

Su questo tema personalmente sono un po’ più in dubbio rispetto a Francesco anche se il suo ragionamento fila. Credo comunque che figure di growth anche se operative possano portare un approccio vincente in certi contesti come quelli di startup e scaleup che ha menzionato prima.

Dove quindi la relazione tra marketing e prodotto è più stretta e anche delle competenze operative più cross possono rivelarsi vincenti. 

Di base sicuramente consiglierei anche io di concentrarsi su una delle due aree menzionate sviluppando competenze solide in un verticale specifico e al contempo comprendere le basi delle altre verticalità per essere in grado di non lavorare in silos. 

Branding e performance

Branding e performance, ti va di approfondire? 

“A livello macro lavorano su due componenti complementari: la performance sullo short term mentre il branding sul long term. Il branding non è che non vive di numeri anzi, questi però non sono legati a un “quando” o comunque a una scadenza nel breve periodo.

Spesso chi è miope le vede in antitesi ma non ci potrebbe essere nulla di più sbagliato. Comunicano semplicemente cose diverse. La performance lavora sul prodotto mentre il branding, indovina un po’, comunica il brand.

L’una non può fare a meno dell’altra, soprattutto se l’azienda vuole scalare ed essere sostenibile nel tempo.”

Quali sono le principali competenze che per queste due tipologie di marketer avrebbe senso sviluppare per migliorare nel proprio lavoro?

“A mio parere lo stack di competenze è simile. Per chi fa branding è comunque molto importante essere legato al dato e avere un approccio a “performance” in senso lato. Il che significa sempre misurare e ottimizzare ma su span temporali più dilatati.

Questo perché per capire se il mio lavoro di branding sta portando i suoi frutti ho chiaramente bisogno di settare KPI e misurare il loro andamento. Spesso questo viene fatto con gli stessi strumenti che utilizza chi fa performance.”

Un esempio?

“Il modo più semplice per capire se le tue azioni stanno avendo un effetto concreto è andare a guardare metriche quantitative aggregate come la SOV (Share of Voice) o la SOS (Share of Search), come suggerisce anche Les Binet. 

La seconda per esempio esprime semplicemente qual è la porzione di ricerche branded che gli utenti fanno rispetto alle ricerche in generale nel tuo settore. Se questo KPI aumenta significa che stai lavorando bene sia in termini di performance che di branding.”

Vale anche l’inverso e quindi anche chi fa perfomance deve avvicinarsi all’approccio di chi fa brand? 

“Sì chi fa performance non può lavorare solo pensando allo short term. Non devi imparare solo a vendere ma anche a comunicare bene. 

Diversi studi, anche di Facebook stessa, dimostrano come una buona comunicazione porti nel lungo periodo dei benefici concreti come con la riduzione di CAC incrementale (costo di acquisizione di nuovi clienti).”

Francesco qui mi trova totalmente d’accordo. L’approccio deve sempre porre il dato al centro e la visione non può limitarsi solo al breve periodo. 

Sicuramente competenze di analisi sulle metriche che ha citato sono da sviluppare e io stesso approfondirò l’argomento (fammi sapere se ti piacerebbe sapere quello che imparerò). 

Conclusioni

Il Marketing rimane una materia molto ampia e con mille sfumature ma questo è anche il suo bello. La prospettiva di Francesco mi ha però aiutato a fissare alcuni punti fermi: 

  1. Le sovrapposizioni con altre aree funzionali dipendono molto da caso a caso e variano a seconda della fase di vita dell’azienda. Più un business è all’inizio e più è facile avere un impatto sistemico.
  2. Le diverse professionalità del settore viaggiano lungo un continuum che ha ai suoi estremi il pensiero a breve e a lungo termine. Il filo di congiunzione del continuum sono i dati, centro di tutto. 
  3. Per migliorare, aldilà della verticalità specifica, è necessario alzare lo sguardo e capire almeno le basi degli altri verticali che ci circondano. Solo così saremo in grado di non lavorare per silos e avere un pensiero orizzontale. 

La chiacchierata a dire la verità è durata molto di più rispetto a quanto scritto ma ho dovuto fare un importante lavoro di sintesi. Spero mi sia riuscito bene e che anche tu abbia potuto trarre tutto il valore che questa conversazione mi ha lasciato. 

Intervistare Francesco (che ringrazio ancora e che ti invito a seguire su LinkedIn) è stato un piacere e mi sono divertito molto. Non escludo di riproporre questa tipologie di format anche in futuro. 

Direi che per oggi è tutto. Sei arrivato fin qui quindi probabilmente questi argomenti ti interessano.

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Alla prossima!

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